
Giovani in cerca di un’identità: il fenomeno NEET
La scelta lavorativa di un giovane non si basa mai solo su aspetti individuali, ma dipende fortemente dal contesto in cui vive e da fattori esogeni, quali la scarsità di domanda di lavoro o le asimmetrie informative tra imprese e lavoratori che ostacolano una corretta allocazione di risorse. Il ruolo sempre meno incisivo degli aspetti individuali nella ricerca di un impiego ha visto la drammatica nascita di un fenomeno in continua crescita: quello dei NEET (Not in Education, Employment or Training). Il termine è stato coniato nel Regno Unito verso la fine del secolo scorso e sta ad indicare i giovani, solitamente nella fascia 15-29, che non studiano nè lavorano nè svolgono attività di formazione. Il suo utilizzo si è diffuso dal 2010 quando l’Unione Europea ha adottato il tasso di NEET come indicatore di riferimento sulla condizione delle nuove generazioni. L’utilità dell’indicatore sta nel fatto che viene fornita una panoramica su tutti i giovani inattivi, non solo sui disoccupati in senso stretto.
L’Italia si posiziona tra gli stati europei con la più alta percentuale di NEET, con il 24% dei giovani, ma, ancor più grave, è anche tra i paesi in cui il fenomeno tende a radicalizzarsi di più (la maggior parte per oltre un anno), portando così molti ragazzi a smettere di cercare lavoro. Lo status di NEET sembrerebbe essere più frequente nelle giovani donne che hanno meno probabilità di trovare un impiego rispetto ai coetanei maschi ( e questo trend si è decisamente acuito dopo la diffusione della pandemia); invece, a differenza di quello che potrebbe sembrare, avere una famiglia d’origine maggiormente strutturata da un punto di vista economico non è garanzia di esclusione dalla condizione di inattività. Anzi, talvolta si verifica proprio il fenomeno opposto.
Ma cosa porta i giovani ad essere inattivi? La scelta volontaria di non lavorare, spesso per sfiducia nel sistema, oppure l’impossibilità del soggetto a lavorare per condizioni estranee alla sua volontà.
L’esclusione dal mondo del lavoro o da quello dell’istruzione si traduce spesso in un allontanamento trasversale in altri ambiti della vita economica e sociale. Il fatto di trascorrere periodi di tempo come NEET può portare infatti ad un’ampia gamma di condizioni negative, quali isolamento, insicurezza e lavoro sottopagato, criminalità e problemi di salute fisica e mentale. Ciascuno di questi risultati non rappresenta solo un problema a livello individuale, ma anche per le società e le economie nel loro complesso. Questi sono i motivi che hanno portato i policymakers ad avvicinarsi sempre di più al fenomeno NEET per tentare di arginarlo con politiche di sostegno. Ma le difficoltà riscontrate in questo senso, mostrano quanto la questione sia articolata, dal momento che i NEET rappresentano una categoria molto più eterogenea di quel che sembra, che è portatrice, quindi, di esigenze diverse. Non solo. La sfiducia nelle istituzioni da parte di questi ragazzi, dovuta all’incapacità dello Stato di sostenere i giovani cittadini, può contribuire a minare la legittimità dei sistemi democratici nelle società. Un’ampia percentuale di giovani “disillusi dalla politica” possono diventare terreno fertile per i movimenti populistici o di estrema destra che ormai stanno prendendo piede in molti stati membri dell’UE.
Il tema “giovani e lavoro” non è qualcosa di astratto, ma riguarda concretamente il futuro lavorativo e generazionale della nostra comunità. Questo fenomeno è diventato oggetto di molteplici proposte, volte a fronteggiare l’attuale crisi del mercato lavorativo giovanile: si va dalle politiche per migliorare l’incontro fra domanda e offerta (di lavoro) alle politiche di sviluppo occupazionale per creare nuove imprese e quindi nuovi posti di lavoro nel settore dei servizi; altre politiche propongono inserimenti nella formazione professionale e nell’apprendistato come percorso formativo e successivamente di assunzione oppure di equilibrare le garanzie del mercato del lavoro, dove è evidente il divario tra flessibilità temporanea dei giovani e rigidità del lavoro a tempo indeterminato riservato agli adulti; infine, alcune fra le tante prevedono lo stanziamento di fondi per gli ammortizzatori sociali e l’applicazione di sgravi e/o crediti fiscali per l’inserimento dei giovani.
I tentativi in atto, come si vede, sono molteplici. I risultati però stentano ad arrivare.
Fonte:
Una generazione in panchina. S. Alfieri – E. Sironi
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